Sit-in davanti all’ambasciata tunisina – Collettivi di donne “da una sponda all’altra: vite che contano”

30 Marzo 2012, ore 12 – Via Asmara 7, Roma Venerdì

Marzo 2011, marzo 2012. Trecentosessantacinque giorni, cinquantadue settimane, dodici mesi, un anno. Questo il tempo che le istituzioni italiane e tunisine hanno fatto trascorrere senza dare alcuna notizia alle mamme e alle famiglie tunisine che chiedono dove siano i loro figli.

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Marzo 2011, marzo 2012.

MinoTawra - exporting change - di KamiKairy Fares.

Marzo 2011, marzo 2012. Trecentosessantacinque giorni, cinquantadue settimane, dodici mesi, un anno. Questo il tempo che le istituzioni italiane e tunisine hanno fatto trascorrere senza dare alcuna notizia alle mamme e alle famiglie tunisine che chiedono dove siano i loro figli. Nel frattempo, sono accadute alcune cose: è caduta una dittatura; Italia, così come in Tunisia. Le mamme e le famiglie Continua a leggere

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360 giorni di attesa Dalla Tunisia alla Sicilia: un viaggio sulle tracce dei migranti scomparsi

Era il marzo del 2011 quando migliaia di ragazzi sono partiti dalle coste tunisine alla volta dell’Italia. In quei caldi giorni, tra l’emozione della rivoluzione e la concitazione di fronte all’apertura delle frontiere sognata da anni, centinaia di ragazzi sono scomparsi nel nulla.  Continua a leggere

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Il Primo Ministro tunisino in Italia incontra la delegazione

Un articolo di Cinzia Gubbini da Il Manifesto del 16/03/2012

Il primo ministro tunisino è arrivato in Italia per una visita ufficiale che ha avuto al centro la cooperazione economica. Ma mezz’ora è stata dedicata ai genitori che cercano i loro figli scomparsi in Italia.

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le mamme raccontano

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Scambio delle impronte?

Voci ufficiali e ufficiose fanno sperare sull’ invio delle impronte dei migranti tunisini dispersi da parte del governo tunisino al governo italiano entro i prossimi giorni di settimana prossima. Questo dovrebbe permettere lo scambio dei data base e noi richiediamo con forza che questa operazione sia fatta alla presenza della delegazione dei familiari ora a roma.

La delegazione dei familiari ha richiesto alla prefetta Pria,  già incontrata al  Viminale  a fine febbraio, di ricevere informazioni certe sui tempi dello scambio. A tutt’oggi non è arrivata alcuna risposta.  L’esperienza ci ha insegnato a diffidare delle istituzioni,  e siamo preparate a continuare con le mobilitazioni da una sponda all’altra.

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Tunisi: video di una studentessa che si ribella all’aggressione dei salafiti

http://youtu.be/wwD6g9jaehw

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Video sull’otto marzo a Tunisi

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Una testimonianza da Tunisi sull’otto marzo

Tunisi, 8 marzo 2012

Ci sono innumerevoli cose che non facevo ormai da alcuni anni per tanti motivi: stanchezza, disillusione, sfiducia,  forse anche per  mancanza di coraggio e un eccesso di pudore legato alla mia naturale introversione.

Fra queste sicuramente le manifestazioni dell’8 marzo per celebrare un rito ormai banalizzato e svuotato di senso.

Ma la mia vita è cambiata perché ormai da quasi un anno vivo in Tunisia, un paese che sta vivendo un incredibile processo di democratizzazione, praticamente dal nulla, o meglio,  dalle ceneri culturali, sociali e politiche che le dittatura ha lasciato dietro di sé. Un processo fragile, incerto, quotidianamente attaccato da forze oscurantiste che, pur minoritarie, paradossalmente approfittano della democrazia (in cui non credono) per cercare di imporre con la violenza la propria visione dell’Islam e  che soprattutto vorrebbero azzerare i diritti delle donne ed eliminare la loro presenza dallo spazio pubblico.

Ieri verso le 15 all’università della Manouba l’ennesimo oltraggio e l’ennesima violenza, questa volta non solo verbale, contro una donna, l’unica che ha avuto il coraggio di salire sul tetto dove alcuni presunti salafiti (per alcuni sono la base di Ennahdha, per altri  ex RCD) avevano sostituito la bandiera nazionale con  lo stendardo nero denominato El- Raya   che riporta i versetti della  chahada, la dichiarazione di fede dei musulmani. Una minuscola donna di cui non è certo neppure il nome (Amal o forse Khaoula) ha affrontato un energumeno ben piazzato per difendere l’emblema nazionale ed è stata violentemente sbattuta a terra.

Sarei comunque andata alla manifestazione per l’8 marzo convocata da diverse associazioni, ma certamente la mia partecipazione ha assunto un valore diverso, dopo gli avvenimenti della vigilia.

Sono arrivata oggi davanti alla sede dell’assemblea costituente dove l’indignazione  la rabbia erano palpabili, ma anche l’orgoglio delle donne tunisine che nella rivoluzione sono state in prima fila e che non hanno la minima intenzione di cedere un millimetro dello spazio conquistato. Donne velate e donne a capo scoperto, giovani in jeans attillatissimi accanto ad anziane militanti dell’UGTT (lo storico sindacato tunisino) tutte issavano cartelli artigianali che riportavano articolo dello Statuto personale introdotto da Bourghiba nel 1959. Ognuna di loro con la bandiera tunisina: c’è chi la indossa come un sefsari (l’autentico velo tradizionale del paese), chi la porta sulle spalle, chi semplicemente la sventola. Certo, mai  e poi mai avrei pensato di voler difendere un emblema di qualsivoglia nazione… eppure sono qui in mezzo a  donne sorridenti, fiere, ostinate, irridenti,  indomabili, accanto alle quali si può ritrovare la voglia di combattere. Si parla della violenza familiare (che, ahimè, di sicuro  non è cosa estranea all’Italia), si citano sondaggi che parlano di un 50% di mogli maltrattate fisicamente e psicologicamente  dai propri mariti, ma si dice anche che probabilmente la percentuale è più alta, dato che nei villaggi sperduti nessuna moglie avrebbe il coraggio di parlare contro il marito che la picchia perché non sa che le cose dovrebbero andare diversamente o comunque è troppo terrorizzata per denunciare i maltrattamenti a cui è sottoposta.

E un mio  pensiero è andato  alle mamme dei migranti tunisini dispersi con cui condivido l’altra battaglia, quello per il loro diritto a sapere dove sono i loro figli, vivi o morti. Non cederanno mai, finché non sapranno la verità…così come le donne dell’8 marzo 2012 a Tunisi, non cederanno mai di fronte a nessun sopruso, a nessuna violenza, a nessun tentativo di riportarle indietro.

Patrizia Mancini

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Lettera delle 2511 e associazione Pontes ai ministri tunisini

All’attenzione del ministro degli affari esteri, Rafik Ben Abdessalem

All’attenzione del ministro dell’Interno, Ali Larayedh

All’attenzione del ministro degli affari sociali, Khalil Zaouia

All’attenzione del segretario di Stato presso il ministro degli affari sociali incaricato dell’immigrazione, Houcine Jaziri

Signori Ministri e Segretario di stato,

     siamo un collettivo di donne italiane e tunisine che in Italia ha dato luogo alla campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano” in appoggio all’appello delle mamme e delle famiglie dei migranti tunisini dispersi in cui si chiede alle istituzioni italiane e tunisine che avvenga uno scambio delle impronte digitali dei loro figli per sapere se siano arrivati in Italia. La nostra decisione di unirci alle famiglie che in Tunisia stanno chiedendo ormai da un anno di sapere quale sia stata la sorte dei loro figli è motivata dalla nostra convinzione che le persone non possano e non debbano scomparire in questo modo e che responsabili di tale scomparsa siano le politiche di governo delle migrazioni dell’Unione europea e dell’Italia.

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