Marzo 2011, marzo 2012. Trecentosessantacinque giorni, cinquantadue settimane, dodici mesi, un anno. Questo il tempo che le istituzioni italiane e tunisine hanno fatto trascorrere senza dare alcuna notizia alle mamme e alle famiglie tunisine che chiedono dove siano i loro figli. Nel frattempo, sono accadute alcune cose: è caduta una dittatura; Italia, così come in Tunisia. Le mamme e le famigliemanifestazioni, sit-in, hanno lanciato un appello per chiedere che ci fosse un confronto delle impronte digitali; insieme, abbiamo costruito la campagna “da una sponda all’altra: vite che contano”, abbiamo continuato a fare presidi, sit-in, abbiamo scritto lettere, chiesto incontri, denunciato le politiche di governo delle migrazioni, le loro responsabilità per la scomparsa e la morte delle persone così come il loro silenzio e la loro indifferenza rispetto al dolore di quelle famiglie che chiedono di sapere. Nelle ultime settimane, al silenzio si sono sostituiti alcuni balbettii, voci di corridoio, funzionari consolari che un giorno danno una notizia e il giorno dopo un’altra, impronte arrivate ma in fotocopia, nomi di ragazzi che sarebbero in carcere, e il giorno dopo quegli stessi ragazzi che non sarebbero mai arrivati, una presa in giro sulla vita e la morte e soprattutto mai una parola ufficiale. Tutto questo, mentre si susseguono i vertici tra i due paesi per raggiungere un nuovo accordo di cooperazione contro l’immigrazione. Da una sponda all’altra, a distanza di un anno, per le istituzioni e per le loro politiche le vite continuano a non contare. Quelle di quei ragazzi, partiti subito dopo la rivoluzione declinando così, come libertà di movimento, la libertà appena conquistata; quelle delle loro madri e famiglie, che hanno portato nelle piazze e per le strade della Tunisia il loro dolore e la radicalità di una domanda sulla vita o sulla morte; le nostre, quelle di tutte e tutti noi che da questa parte della sponda abbiamo inseguito quella radicalità, convinte e convinti che ci stesse suggerendo qualcosa di fondamentale: che le vite, tutte, con i loro desideri di libertà, con il loro dolore, con il loro desiderio di vita, nonostante le istituzioni, nonostante le politiche migratorie e le loro pratiche di scomparsa, contano. Per continuare a ribadirlo crediamo che sia ora indispensabile un’azione sulle due sponde che agisca la radicalità del nostro contare, di noi, tutte e tutti, da una sponda all’altra. Insieme alle madri in Tunisia e alla delegazione delle famiglie qui in Italia stiamo cercando di organizzarla e vi faremo sapere al più presto le modalità.
Fonte foto: MinoTawra – exporting change – di KamiKairy Fares.