Il Primo Ministro tunisino in Italia incontra la delegazione

Un articolo di Cinzia Gubbini da Il Manifesto del 16/03/2012

Il primo ministro tunisino è arrivato in Italia per una visita ufficiale che ha avuto al centro la cooperazione economica. Ma mezz’ora è stata dedicata ai genitori che cercano i loro figli scomparsi in Italia.

dell’Italia nei paesi del Maghreb. Se il rapporto dell’Occidente, e in particolare dell’Italia, con la Tunisia di Ben Alì era solido, le cose vanno a gonfie vele anche adesso, che la Tunisia sembra essere “un modello di democrazia e stabilizzazione del mondo arabo”, come ha detto questa mattina il premier Mario Monti incontrando il primo ministro tunisino Hamadi Jebali. Una visita ufficiale che ha portato Jebali a stringere le mani di tutte le cariche istituzionali italiane: il premier, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, il presidente della camera Gianfranco Fini e quello del Senato Renato Schifani.

Al centro dei colloqui la collaborazione economica, fondamentale per la Tunisia che attraversa ormai da anni una fase molto critica (nonostante, quest’anno, sia di nuovo aumentato il turismo dopo lo stop dell’anno scorso) ma anche l’immigrazione e il “dossier” Siria, due aspetti questi che invece stanno più a “cuore” all’Italia, testa di ponte dell’Europa. Una giornata con un’agenda densa di incontri importanti, che però ha trovato spazio per un colloquio lungo e serio anche con la delegazione dei famigliari dei “tunisini scomparsi” che si trova ormai da due mesi in Italia – genitori i cui figli sono partiti alla volta dell’Italia l’anno scorso, di cui non si hanno più notizie, ma su cui esiste qualche indizio circa il loro effettivo approdo. Il che fa capire quanto la faccenda sia considerata importante in Tunisia.

Jebali incontrando Monti ha ringraziato l’Italia per “l’aiuto che non è mai mancato” nonostante “la crisi”. Mentre il primo ministro incontrava il suo omologo italiano, a Tunisi il presidente della Repubblica tunisino Marzouki visitava la Safas una delle aziende italiane – una delle più grandi – che ha investito nel paese nordafricano.A ricordare che la Tunisia tiene molto e ha bisogno delle aziende italiane.

Questa “dipendenza” economica del paese nei confronti dell’Italia e dei paesi europei che hanno un storico rapporto con la Tunisia impedisce, ovviamente, di puntare i piedi quanto il popolo tunisino vorrebbe nei confronti della politica europea su temi come l’immigrazione. Dopo la rivoluzione le realtà associative tunisine hanno più volte fatto appello ai nuovi rappresentanti politici perché cambiasse la musica, e l’Europa non utilizzasse più i paesi del nord Africa come “cani da guardia” nei confronti del sud, né imponesse “tetti” all’immigrazione poco realistici. Esiste un dibattito vivace in Tunisia sul “diritto all’emigrazione” (che era reato ai tempi di Ben Alì) e al fatto che la Tunisia dovrebbe difendere i propri cittadini all’estero piuttosto che collaborare con i paesi europei per tenerli “ingabbiati”.

In realtà le richieste dell’Italia e dell’Europa non sono cambiate. Anzi, la crisi economica porta i governi a chiudere le frontiere. Si tratta quindi di una questione delicatissima, che è al centro di tutti i “tavoli di trattativa”. Oggi Jebali ha voluto ribadire al governo italiano la “volontà di collaborare”, ma che cosa questo significherà in futuro – come sempre – si capirà non tanto dagli accordi formali, quanto dalla prassi.

Altro capitolo importante la Siria, situazione delicata e infuocata su cui la Tunisia può giocare un utile ruolo diplomatico, che Monti ha ricordato citandola come “un modello a cui tutti dovrebbero ispirarsi” facendo riferimento soprattutto al fattore “stabilità”.

Argomenti più che seri, che nella giornata di ieri si sono intrecciati a un fatto che può essere considerato più minuto. Ma visto che Jebali gli ha dedicato mezz’ora del suo tempo, vuol dire che una sciocchezza non è. Verso le tre del pomeriggio, infatti, il primo ministro tunisino e la sua “corte” sono arrivati all’ambasciata tunisina di Roma.

Lì lo aspettava trepidante e anche un po’ emozionata la delegazione dei genitori dei “tunisini scomparsi”. Imed Soltani, Nourrdin Mbarki e Meherzia Rouafi rappresentano centinaia di famiglie tunisine che da un anno ormai sono sulle tracce dei loro figli. “Vogliamo solo sapere la verità, soffriamo da un anno ormai”, le parole di Meherzia che non ha più notizie del figlio diciottenne. Insieme a loro anche Rebecca Kraiem, presidente dell’Associazione “Giuseppe Verdi” di tunisini in italia, che li segue da quando è iniziata la ricerca. Con loro c’era anche una donna tunisina, che la delegazione ha conosciuto solo di recente, e che potrebbe essere una testimone importante visto che sostiene di aver incontrato ben tre dei ragazzi scomparsi nel carcere di Rebibbia a gennaio. Una notizia ancora tutta da verificare ma che ha messo in subbuglio i genitori che stanno cercando i loro figli, e che quindi dovrà essere attentamente valutata.

“Gli abbiamo chiesto di aiutarci, di fare tutto il possibile e di darci magggiore sostegno”, ha detto la delegazione all’uscita dall’incontro con Jebali, comunque contenta di aver potuto parlare faccia a faccia con il primo ministro, presentandogli tutti gli aspetti di una questione complicatissima. “Il primo ministro ci ha assicurato che metterà a disposizione tutte le risorse affinché la ricerca sia seria e approfondita”.

Intanto, però, da settimane ormai si attende l’invio delle impronte dei 265 ragazzi “censiti” con precisione e scomparsi a marzo, quando si imbarcarono per l’Italia. A quanto si racconta – anche se su queste questioni l’ufficialità non esiste – alcune impronte sarebbero state inviate ma su un supprto non adatto al raffronto con quelle prese in Italia alle persone che approdarono in quel periodo a Lampedusa. Ieri Jabali si è impegnato a farle arrivare nel formato corretto.

Il controllo delle impronte viene considerata la prova più sicura, quella che tutti attendono. Ma i genitori chiedono con insistenza da quando sono arrivati in Italia – senza essere accontentati – anche di poter visitare i centri di detenzione e le carceri italiane, in modo da mostrare le foto dei figli a chi è rinchiuso lì dentro. Permesso non accordato, almeno per ora. Un disinteresse che non aiuta a far stare tranquilli i genitori, supportati in Italia dal gruppo milanese “Le Venticinqueundici” e ora anche da un comitato romano. Tanto che ora chiedono che – quando finalmente le impronte saranno arrivate e si darà il via al confronto – sia garantita la trasparenza dell’operazione.

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