Invito all’assemblea ‘Riprendiamoci il tempo della vita e lo spazio della città: atto secondo’

Mercoledì 4 Maggio ci siamo ritrovate in una cinquantina di donne all’assemblea ‘Riprendiamoci il tempo della vita e lo spazio della città’ per confrontarci sulle barriere che recintano le nostre vite. La precarietà, lo sfruttamento, le violenze contro le donne, la guerra, il neocolonialismo, l’attacco ai beni comuni, le discriminazioni, i modelli dominanti, i Cie per le/i migranti . . . tutti recinti che ingabbiano i nostri corpi e i nostri desideri.

La numerosa partecipazione all’assemblea come le manifestazioni dei mesi passati sono senz’altro segno di un bisogno di ribellione all’attuale stato di cose: la voglia di pensare e fare, insieme e in autonomia, per uscire dalle barriere che ci confinano. Come dare seguito e rispondere concretamente a questi desideri?

Incontriamoci una seconda volta per confrontarci su COME riprenderci i tempi della vita e gli spazi della città. Fare e agire collettivamente fra donne sono occasioni per conoscersi e interrogarsi reciprocamente, suscitare riflessioni e vivere la nostra libertà. Ascoltarci, costruire e praticare relazioni, in modo continuativo e visibile, rappresentano di per sé pratiche di esistenza che possono unire nelle differenze e costruire un altro immaginario e un altro spazio.

Abbiamo pensato ad alcune proposte che superando la logica della denuncia e dei presidi cercano invece di porsi in quella della relazione e dell’incontro e vorremmo condividerle con voi.

Lunedì 6 Giugno alle ore 18.30 – c/o Libera Università delle Donne     C.so Pta Nuova 32 – Milano

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Intervento introduttivo all’assemblea ‘Riprendiamoci il tempo della vita e della città’: come e perchè incontrarci

Ringraziamo tutte per aver partecipato a questa assemblea che abbiamo voluto organizzare per  parlare del nostro percorso come collettivo femminista, confrontarlo con quello di altre donne e provare insieme a immaginare percorsi comuni che possano superare quella frammentarietà delle lotte che caratterizza il movimento. Continua a leggere

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Presentazione dell’assemblea ‘Riprendiamoci il tempo della vita e lo spazio della città’

Intervista rilasciata da una compagna delle venticinqueundici al Martedì Lesbico Femminista Autogestito di Radio Onda Rossa per presentare l’assemblea ‘Riprendiamoci il tempo della vita e lo spazio della città’ che abbiamo tenuto il 4 maggio a Milano.

http://ia700607.us.archive.org/9/items/110503_Milano_leventicinqueundici/110503_Milano_leventicinqueundici.mp3

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Per riprenderci il tempo della vita e lo spazio della città

Abbiamo condiviso a modo nostro, come tanti altri gruppi in tutta Italia, le recenti manifestazioni delle donne per il grande desiderio di libertà, di parola e di autonomia che in sostanza ci accomunava tutte, oltre che naturalmente per il disgusto rispetto  a un governo e a tutto un ceto politico che ci fa inorridire, ma anche con uno sguardo fortemente critico rispetto ad alcune visioni del femminismo che stanno emergendo.

Non vorremmo che la miseria sociale, culturale e politica in cui stiamo precipitando finisse per sdoganare un modello femminile legalitario, perbenista, addirittura “nazionalista”, intriso di vecchio patriarcato… Insomma, brave donne italiane ammantate di tricolore purché antiberlusconiane.

Questa retorica nasconde in particolare il fatto che noi, per essere nate in Italia, siamo dalla parte della barriera che crea oppressione, divide e discrimina le persone secondo un’ideologia identitaria che pervade tutto l’Occidente e crea società in cui il cerchio dell’esclusione si va sempre più allargando. Un’esclusione che si aggiunge al silenzio sulle violenze contro le donne e sul perdurare del nodo irrisolto che riguarda il rapporto fra i sessi.

Il nostro collettivo è proprio nato dal rifiuto di accettare queste barriere e dal desiderio di esplorare i nessi fra le politiche di controllo che hanno consentito il nascere di Centri di identificazione ed espulsione, dove rinchiudere donne e uomini migranti bollati come “illegali”, e  ciò che  limita e ingabbia le nostre vite di cittadine cosiddette “legali”.

Come fare a rendere visibile e concreto il conflitto che ci contrappone radicalmente a queste politiche, a questo modello di società, a questa idea di città e di mondo? Da cosa iniziare?

Possiamo partire dal desiderio di mescolarci con le donne provenienti da altri paesi, superando così le divisioni imposte. Possiamo provare a condividere pratiche di relazione da attivare qui e ora e piccoli esperimenti di socialità urbana alternativa. Uscire dalla finta realtà in cui stanno cercando di imprigionarci, ritrovare il senso concreto delle cose, non ragionare in termini istituzionali, rompere il meccanismo della delega, aprire un nuovo immaginario, inaugurare luoghi d’incontro e scambio di saperi ed esperienze, inventare forme di economia alternative rispetto al consumismo…  Insomma, riprendiamoci almeno in parte la città e lo spazio pubblico, il tempo della vita e delle relazioni. Voi cosa ne pensate?

Vi invitiamo il 4 maggio alle 18.30 in corso di Porta Nuova 32 per scambiare esperienze, costruire proposte, prenderci spazi, creare relazioni… e stare bene insieme!

Ringraziamo la Libera Università delle Donne per l’ospitalità, anche perché ci tenevamo a promuovere l’incontro in un luogo storico del femminismo in questa città.

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Libia: Alba dell’Odissea? Ma la guerra è un’odissea senza fine

Floriana Lipparini, 21 marzo 2011

Sono tra quelle che firmarono la lettera di protesta che stigmatizzava con pesante ironia gli inviti del rais a italiche fanciulle pagate per ossequiarlo e farsi indottrinare, e scrissi anche un articolo sul Paese delle Donne per dire la mia opinione sulle cosiddette “amazzoni” al servizio del dittatore.

Chiaro quindi che sto dalla parte di chi si ribella e vuole diritti e libertà.

Ma questo significa forse dover accettare le follie belliciste di alcuni leader europei pronti a scatenare ancora una volta l’inferno con la scusa delle operazioni umanitarie, eteroguidati dal Nobel “per la pace” Obama?

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Mia sorella e’ figlia unica: riflessioni meridiane e femministe sull’unità d’Italia

Collettivo Femminista Pachamama, 17 marzo 2011

Il 26 Febbraio Tamar Pitch, docente di filosofia e sociologia del diritto a Perugia, scrive sul Manifesto un breve articolo che, prendendo le mosse dall’appello promosso dal Comitato “Se non ora quando” in vista dell’otto marzo, provava a tracciare con esso una profonda discontinuità sul piano del nesso troppo scomodo tra donne e nazione, o meglio, tra appartenenza nazionale e rivendicazione femminile che quell´appello sottolineava, proponendo di legare a doppio mandato la giornata internazionale delle donne alle celebrazioni prevista per il 17 Marzo, anniversario dei 150 anni dell´Unità di Italia.

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Contributo delle venticinqueundici all’assemblea delle donne della Lombardia in rete con ‘Se non ora quando’

14 febbraio 2011

C’è fermento. L’8 marzo di quest’anno le piazze si sono riempite di donne, unite dal
desiderio di modificare la quotidianità che ci troviamo a vivere.
Non siamo un corpo unico, le differenze ci sono e sono tante. Il dibattito successivo
all’appello del 13 febbraio e le diverse modalità con cui siamo scese in piazza lo dimostrano.
Ma siamo d’accodo con Lea Melandri quando afferma: “Abbiamo forti divergenze, siamo a
volte conflittuali ma il conflitto non è la guerra. Il conflitto è la vita, è fonte di vitalità, di
cambiamento, è la libertà di poter dire sono d’accordo o non sono d’accordo”.
Ecco perché noi,  un collettivo femminista composto da donne diverse per età e storia
personale, abbiamo condiviso a modo nostro le piazze del 13 febbraio e dell’8 marzo.
C’eravamo per il grande desiderio di libertà, di parola e di autonomia che in sostanza ci
accomunava tutte, ma portavamo con noi anche uno sguardo fortemente critico rispetto ad
alcune “visioni” del femminismo che sono emerse in alcuni appelli e in alcune parole
d’ordine.

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Riprendiamoci le nostre vite indecorose e libere (anche quando cercano di fermarci)

Con questo slogan ieri, 8 marzo, siamo scese in piazza a Milano. Un presidio colorato e comunicativo contro la precarietà, la violenza maschile, gli stupri nelle caserme, e quelli in famiglia… Abbiamo esposto foto di donne in rivolta nei paesi arabi, e di migranti nelle nostre città. Avevamo naturalmente anche lo striscione che denuncia le violenze delle forze dell’ordine nelle caserme e nei Cie. Ma se in tutta Italia alzare la voce per denunciare le violenze della polizia sembra difficilissimo, qui a Milano una volta di più hanno cercato di renderlo impossibile.

Tutte ci ricordiamo le violente cariche della polizia a Milano, il 25 novembre 2009 contro le donne che denunciavano le violenze sessuali nei Cie. Anche ieri, la polizia ha cercato più volte di farci rimuovere il nostro striscione, ma di fronte all’indisponibilità e alla tenacia delle donne presenti ha dovuto desistere. Come fare allora? L’unica è aspettare che il presidio si sciolga, che rimangano in poche e a questo punto procedere all’identificazione, bloccare le auto e non permettere di andare via.

Forse però il vento sta cambiando e non tutte le ciambelle riescono col buco. In poco tempo il tam tam informativo scatta, il presidio si riforma, chi passa di lì si accorge immediatamente dell’assurdità, arrivano anche le donne che se ne stavano andando via dall’altro presidio di piazza Mercanti. L’orrore dello stupro nella caserma romana fa ribollire il sangue di tutte e nessuna accetta di essere imbavagliata. La polizia, dopo aver controllato un paio di documenti, alla fine se ne va. Il potere si assolve con disinvoltura dagli scandali che lo riguardano, sessuali o finanziari che siano. Usa la propaganda, pretende il conformismo e se ancora non basta impugna le armi della repressione. Ma ieri le donne non gliel’hanno permesso.

consultoria autogestita, http://consultoriautogestita.wordpress.com/
collettivo ri/belle, ribelle@libero.it
leventicinqueundici, http://leventicinqueundici.noblogs.org/


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Otto marzo senza nazionalismi? Canta con le Sorelle di Tania!

Sorelle di Tania,                                                                                                                                 di Tania “l’onesta”                                                                                                                               di gran sciarpa bianca                                                                                                                          ci han cinta la testa?                                                                                                                     Dov’è la memoria?                                                                                                                         Ricordo che Roma                                                                                                                             un tempo, non doma,                                                                                                                            quel palco scrollò!*

Pensiamoci assorte,                                                                                                                             il voto è alle porte,                                                                                                                               Concita chiamò!

Non basta esser sempre                                                                                                                 sfruttate e derise:                                                                                                                         “Madonne, o puttane!”                                                                                                                       Ci voglion divise,                                                                                                                          “salvare la patria                                                                                                                               spronar la nazione”                                                                                                                              la nostra missione                                                                                                                         qualcuna dettò.

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Riprendiamoci le nostre vite indecorose e libere!

Negli ultimi mesi un’energia nuova e dirompente è emersa dalle mobilitazioni delle università e del precariato, dalla resistenza degli operai e delle operaie, delle donne e uomini migranti, dalle migliaia di donne scese in piazza contro le politiche di questo governo, fino a giungere alle ribellioni dell’Egitto e delle coste del Mediterraneo.

È un grido di rivolta che denuncia un sistema sociale ingiusto e che si rifiuta di pagarne i costi.

Il 13 febbraio a Milano molte di noi non sono scese in piazza o lo hanno fatto singolarmente. Non ci riconoscevamo nelle parole d’ordine contenute nell’appello. Col senno di poi e  leggendo commenti e riflessioni su siti, blog e giornali, abbiamo constatato che in piazza Castello si era comunque  espressa, da parte di molte, rabbia e dissenso per una situazione politica e sociale disastrosa. Tante donne, con cartelli, magliette o a voce hanno espresso il malessere che vivono quotidianamente sulla loro pelle. Malgrado in piazza fosse presente tanto moralismo e giustizialismo si è colta anche la voglia di dire la propria come donne in una società ancora dominata da logiche patriarcali e sessiste.

Anche l’8 marzo vogliamo portare in piazza le nostre voci e i nostri corpi e rimettere al centro la questione della redistribuzione delle ricchezze: tra chi fa i profitti e chi sta pagando questa crisi, tra chi possiede palazzi e chi non ha casa, tra chi si giova di stipendi milionari e chi non ha un lavoro!

Vogliamo scendere in piazza per contestare una cultura e un immaginario usati per controllare e disciplinare i nostri corpi e la nostra sessualità!

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