Con questo slogan ieri, 8 marzo, siamo scese in piazza a Milano. Un presidio colorato e comunicativo contro la precarietà, la violenza maschile, gli stupri nelle caserme, e quelli in famiglia… Abbiamo esposto foto di donne in rivolta nei paesi arabi, e di migranti nelle nostre città. Avevamo naturalmente anche lo striscione che denuncia le violenze delle forze dell’ordine nelle caserme e nei Cie. Ma se in tutta Italia alzare la voce per denunciare le violenze della polizia sembra difficilissimo, qui a Milano una volta di più hanno cercato di renderlo impossibile.
Tutte ci ricordiamo le violente cariche della polizia a Milano, il 25 novembre 2009 contro le donne che denunciavano le violenze sessuali nei Cie. Anche ieri, la polizia ha cercato più volte di farci rimuovere il nostro striscione, ma di fronte all’indisponibilità e alla tenacia delle donne presenti ha dovuto desistere. Come fare allora? L’unica è aspettare che il presidio si sciolga, che rimangano in poche e a questo punto procedere all’identificazione, bloccare le auto e non permettere di andare via.
Forse però il vento sta cambiando e non tutte le ciambelle riescono col buco. In poco tempo il tam tam informativo scatta, il presidio si riforma, chi passa di lì si accorge immediatamente dell’assurdità, arrivano anche le donne che se ne stavano andando via dall’altro presidio di piazza Mercanti. L’orrore dello stupro nella caserma romana fa ribollire il sangue di tutte e nessuna accetta di essere imbavagliata. La polizia, dopo aver controllato un paio di documenti, alla fine se ne va. Il potere si assolve con disinvoltura dagli scandali che lo riguardano, sessuali o finanziari che siano. Usa la propaganda, pretende il conformismo e se ancora non basta impugna le armi della repressione. Ma ieri le donne non gliel’hanno permesso.
consultoria autogestita, http://consultoriautogestita.wordpress.com/collettivo ri/belle, ribelle@libero.it leventicinqueundici, http://leventicinqueundici.noblogs.org/