Presidio a Roma: porte chiuse, porte aperte, sempre un silenzio assordante

La delegazione delle famiglie dei ragazzi tunisini scomparsi, i collettivi di donne della campagna ‘Da una sponda all’altra: vite che contano’ e tanti altri gruppi romani, si sono ritrovati venerdì 30 marzo davanti all’ambasciata tunisina a Roma. Tutte e tutti insieme, ancora una volta, abbiamo chiesto notizie sulla sorte dei dispersi; abbiamo denunciato la violenza delle politiche di governo delle migrazioni; abbiamo rivendicato che le vite, tutte, devono contare e che nessuno può scomparire nell’indifferenza generale. Ma di fronte alle nostre voci e ai nostri striscioni le porte dell’ambasciata si sono chiuse.

Il tempo del presidio è trascorso tra mille contrattazioni telefoniche per poter incontrare dei rappresentanti dell’ambasciata che ci informassero sullo scambio – fra Tunisia e Italia – delle impronte dei dispersi. ‘L’ambasciatore è a Firenze’, ‘chi si occupa del dossier non è presente’, ‘ma l’abbiamo visto dalla finestra’, ‘no, non c’è’, ‘allora vogliamo parlare con qualcun altro’, ‘non c’è nessuna delle persone che conoscono questo caso’, ‘non importa che lo conoscano loro, lo conosciamo noi, basta che ci ricevano’, ‘il responsabile vi chiamerà questa sera’, ‘ma a noi questa sera non interessa’, ‘allora diremo di chiamarvi subito’. Alla fine nessuno ci ha chiamate/i.

Nel frattempo abbiamo chiesto di essere ricevute/i dal ministero degli interni. Sebbene ci abbiano fissato un appuntamento, quando arriviamo la prefetta Angela Pria dice di non essere stata avvisata del nostro arrivo. Magnanimamente decide di riceverci, ma pare non essere in possesso di nessuna informazione. Dopo mezzora di risposte evasive, una delle mamme si rivolge alla prefetta ‘se anche tu sei una mamma, saprai cosa si prova a non avere nessuna notizia di tuo figlio da oltre un anno; se è così, trova i nostri figli’. La prefetta pensa bene di rispondere che ‘anche gli italiani, quando emigravano, spesso si ricostruivano un’altra vita senza dare nessuna notizia di sé alle famiglie’. Inutile chiedersi cosa c’entri questa risposta, siamo solo di fronte a una delle tante negazioni di responsabilità per la violenza delle politiche di governo delle migrazioni: i morti del Mediterraneo o le incarcerazioni nei Cie non dipendono dal ministero degli interni, quindi meglio pensare ad altro.

Che le porte rimangano chiuse o si aprano brevemente, nulla cambia. Le politiche che fanno scomparire le persone devono continuare e le vite continuano a non valere. Ma mentre Italia e Tunisia continuano le contrattazioni per alzare il muro della Fortezza Europa, continueremo a fare più rumore possibile per far tacere il silenzio delle istituzioni. Dove sono i nostri figli?

Questa voce è stata pubblicata in Comunicati, Femminismi, Migrazioni. Contrassegna il permalink.