Ostinarsi perchè le vite non sono numeri

Nei prossimi giorni alcune di noi partiranno per Tunisi per incontrare le madri degli migranti tunisini dispersi e decidere insieme a loro come continuare la nostra battaglia. Lo scambio delle impronte è stato effettuato, la nostra richiesta era stata quella di poter controllare lo scambio ma questo non è avvenuto. Cosa ancora più grave nessuna comunicazione ufficiale è stata data alle madri. I loro figli, i corpi dei loro figli sono stati ridotti a numero, a semplici impronte di cui sono stati dati letteralmente i numeri.

Per il raffronto, la Tunisia ha sostenuto di aver inviato una volta 319 impronte, un’altra 280. L’Italia, per bocca di Pomponio, capo della polizia scientifica, ha parlato di 252 impronte. La ministra Cancellieri, rispondendo alla commissione del senato dei diritti umani, ha dichiarato che la scomparsa dei migranti tunisini è un “caso di altissimo significato sul piano umano, che non ha visto certamente indifferenti le autorità italiane, le quali, anzi, hanno avuto immediati e intensi contatti con rappresentanti diplomatici della Tunisia per le iniziative destinate al rintraccio”. Tuttavia, ha aggiunto che “su 142 persone segnalate solo 8 sono state oggetto di riscontro da parte della Polizia italiana, e, tra queste, solo 1 risulta effettivamente transitata nel nostro Paese dopo la crisi politica nordafricana. Per le altre 7, infatti, gli approfondimenti hanno consentito di accertare che il loro passaggio in Italia risaliva ad epoca assai precedente alla presunta partenza dalla Tunisia”. Quindi 142 e non 252 come aveva detto Pomponio? E chi sono? Che nomi hanno? E quell’uno di cui c’è il riscontro chi è, con quale imbarcazione è arrivato? Questo dare i numeri e non considerare che dietro i numeri ci siano delle vite è lo stesso linguaggio utilizzato quando si parla degli esodati, le vite qua e là non contano, ma sembra che stentiamo ad accorgercene.

Con i cambi di governo sulle due sponde, poco o nulla è cambiato delle politiche migratorie dei paesi affacciati sul Mediterraneo. L’accordo, sottoscritto lo scorso 3 aprile tra la Ministra Anna Maria Cancellieri e il Ministro dell’Interno libico Fawzi Al Taher Abdulali, ha riconfermato la politica dei respingimenti in mare e dei centri di detenzione in territorio libico. Il testo dell’accordo parla della costruzione di un “centro sanitario a Kufra, per garantire i servizi sanitari di primo soccorso a favore dell’immigrazione illegale”. Ma Kufra –luogo di passaggio per molti migranti provenienti da Egitto, Sudan e Ciad e diretti verso le zone industriali della Libia o i paesi europei– non è mai stata sede di un centro sanitario, né tantomeno di una struttura di accoglienza. In questi anni Kufra ha invece ospitato un durissimo e disumano centro di detenzione per migranti, luogo di torture, abusi e stupri, la cui costruzione era stata finanziata dall’Italia nel quadro degli accordi con la Libia. Oggi, i due paesi continuano ad accordarsi per mettere a rischio la vita delle persone e il linguaggio delle garanzie sanitarie non serve a nascondere le scomparse e le morti causate da queste politiche.

Su un’altra sponda del Mediterraneo, in altri centri di accoglienza o di identificazione ed espulsione, la politica del confinamento continua a privare della libertà migliaia di migranti. Nel centro di Milo, vicino Trapani, l’11 giugno una rivolta ha denunciato la violenza della reclusione. Nonostante la brutale repressione, alcuni migranti sono riusciti a fuggire riprendendosi la propria libertà di movimento. A Milano invece, continua il processo contro otto tunisini accusati di devastazione e saccheggio per una rivolta avvenuta nel Cie di Via Corelli a metà gennaio e i ragazzi rischiamo fino a otto anni di prigione. A Roma la procura ha ripreso uno sconcertante provvedimento del giudice per le indagini preliminari di Agrigento. Nel dicembre scorso alcuni volontari di associazioni di Lampedusa avevano denunciato alla procura di Agrigento l’illeggittimità  del trattenimento di migranti sbarcati a Lampedusa la scorsa estate. I sopravvissuti alla traversata furono accompagnati nel centro di soccorso e prima accoglienza e per molti le prime cure si trasformarono in un trattenimento di diverse settimane in condizioni di sostanziale detenzione (essendo la struttura circondata da un muro alto più di tre metri, potenziato da filo spinato ed essendo impedito non solo di uscire ma anche di circolare liberamente all’interno). La procura di Agrigento ha archiviato la denuncia e la procura di Roma si è acriticamente adeguata chiedendo a sua volta l’archiviazione dell’esposto. Con buona pace di ogni diritto e garanzia.

Insomma lo scenario è sempre lo stesso e le negoziazioni in corso fra Italia e Tunisia per nuovi accordi sulle migrazioni non promettono nessun cambiamento. Noi crediamo di dover far tesoro dell’insegnamento delle madri dei migranti tunisini dispersi che continuano ad assillare, ossessionare i rappresentanti delle istituzioni ribadendo ostinatamente che qui e là le vite contano. Siamo consapevoli che è una domanda a cui le istituzioni non possono rispondere, perchè implicherebbe un riconoscimento delle loro responsabilità e la necessaria constatazione che la terra è di tutte e di tutti e che la libertà di movimento non può essere riservata solo a una parte dell’umanità , come insieme alle madri abbiamo affermato nelle nostre iniziative.

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2 risposte a Ostinarsi perchè le vite non sono numeri

  1. Stefania Sinigaglia scrive:

    Quando sono stata in Tunisia nel dicembre scorso e ho scoperto l’entità del problema sulla stampa locale, ne avevo scritto in un breve reportage nel quale scrivevo che con uno scambio di impronte, con nomi ovvio dei legittimi proprietari (!) si sarebbe rapidamente potuto rispondere lall’angoscia di tante famiglie e amici e almeno sapere chie era passato dove, chi arrivato e chi no. Che ingenuità. Questo governo è la prosecuzione dell’altro e la disumanità di queste cifre è anzi forse più cruda, numeri al lotto che si incrociano, vuol dire non avere un minimo di umanità. E fortuna che c’è un Ministro “dedicato”!

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