Questo comunicato è un aggiornamento sulla campagna “da una sponda all’altra: vite che contano” e contiene anche alcune proposte emerse durante l’incontro con alcune delle madri in Tunisia, in occasione di un nostro recente viaggio.
Vorremmo diffondere al massimo questo comunicato e chiediamo a tutte/i coloro che sinora hanno supportato la campagna o fossero interessate/i di mandarci la loro adesione e contribuire alla diffusione.
Per adesioni: venticinquenovembre@gmail.com
Partiamo da alcuni fatti. Tra i migranti partiti dalla Tunisia verso l’Europa nel corso dei mesi di marzo, aprile, maggio 2011 alcuni non danno notizia di sé alle famiglie. Queste ultime riconoscono o credono riconoscere alcuni di loro nelle immagini di Tg italiani, ritengono dunque che siano arrivati. Si organizzano, cominciano a fare una lista con i nomi dei loro figli e delle imbarcazioni con cui sono partiti insieme da alcune spiagge della Tunisia. Nel mese di ottobre 2011 viene scritto un appello alle istituzioni italiane e tunisine per chiedere che si proceda a un raffronto delle impronte digitali, l’appello viene sostenuto in Italia dal nostro collettivo, le 2511, e da alcune donne tunisine e le loro associazioni. Viene lanciata la campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano” nel corso della quale abbiamo fatto numerose iniziative in Italia e in Tunisia. In Tunisia, nel frattempo, non passa settimana senza che le madri e le famiglie organizzino un sit-in, una manifestazione, una protesta davanti alla sede di varie istituzioni e vengano a volte incontrate da ministri e funzionari, a volte allontanate dai luoghi in cui protestano. Alla fine di gennaio, in Italia arriva una delegazione delle famiglie; con la delegazione, come collettivo delle 2511 chiediamo incontri alle istituzioni italiane che nel mese di marzo ci fanno sapere che le impronte digitali sono alla fine state inviate dalla Tunisia e che il raffronto è cominciato, nel mese di aprile ci viene comunicato che il lavoro è quasi terminato.Questi i fatti di cui siamo certe. Il resto sono “verità-non verità”, frasi ambigue, comunicazioni non trasparenti, incontri delle istituzioni tunisine e italiane con le famiglie in cui non si capisce bene che cosa venga comunicato. Cosa ha detto Napolitano nella sua visita in Tunisia il 16 maggio scorso nei pochi minuti in cui ha incontrato alcune madri? E’ un rebus riuscire a capirlo: secondo alcuni giornali tunisini avrebbe detto tre cose contradditorie (piangeva la scomparsa dei loro figli, si impegnava a cercarli, riteneva che questo dramma fosse dovuto a uno scarso controllo delle coste tunisine); secondo alcuni giornali italiani avrebbe comunicato alle famiglie che l’esito del raffronto delle impronte sarebbe negativo. Quando sarebbe stato comunicato dalle istituzioni tunisine il risultato negativo del raffronto delle impronte alle famiglie? E a quali famiglie? Le madri e le famiglie, infatti, nelle ultime settimane hanno intensificato le loro proteste davanti alle sedi istituzionali che dovrebbero rispondere loro, ma non sempre vengono ricevute, non sempre tutte insieme, non sempre sono le stesse.
Nel frattempo, la settimana scorsa, anche noi, come 2511 siamo state per alcuni giorni in Tunisia a incontrare le madri e le famiglie (non tutte, perché abitano in quartieri diversi della periferia di Tunisi o in altre città) e a cercare di parlare con le istituzioni. Da quest’ultime abbiamo saputo altre verità-non verità: il confronto è terminato e il risultato è negativo; il confronto è al 60% e il risultato verrà comunicato tutto insieme; il risultato negativo è già stato comunicato.
C’è da stupirsi allora che nessuno creda più a nessuno? Che le madri continuino con il loro linguaggio di donne ostinate che pretendono certezze sulla vita o la morte dei loro figli?
Se anche dopo il nostro viaggio in Tunisia volessimo ripartire da un fatto certo, potremmo comunicare soltanto l’unica verità da cui per noi non si può prescindere: le politiche di governo delle migrazioni dell’Ue e dell’Italia, con la complicità in questo caso della Tunisia, sono politiche di morte e di scomparsa e per rispondere a una domanda come quella che giunge dalle madri e dalle famiglie tunisine, in cui per la prima volta si chiede conto a tali politiche della vita di uomini e donne che scompaiono, i rappresentanti di queste politiche dovrebbero rispondere con un atto di riconoscimento delle proprie responsabilità. Non possono farlo, perché questo implicherebbe un’assoluta revisione dei “credo” alla base delle loro politiche e la necessaria constatazione che la terra è di tutte e di tutti, come insieme alle madri e alle famiglie tunisine abbiamo affermato nelle nostre iniziative, e che la libertà di movimento non può essere riservata esclusivamente a una parte dell’umanità. Di qui le “false verità”, le “mezze verità”, le “verità-non verità” con cui hanno deciso di comunicare le loro non-verità.
Dopo i nostri incontri con le istituzioni, dapprima in Italia e poi in Tunisia, ci siamo allora accordate con le madri e le famiglie a Tunisi su alcune pretese, sapendo che nemmeno queste sarebbero del tutto sufficienti a stabilire una certezza e rivolgendoci in modo generale alle istituzioni, consapevoli che da esse continueranno a pervenire soltanto non-verità:
pretendiamo:
1) Una conferenza stampa di qualche rappresentante dello stato tunisino e italiano che comunichi alle famiglie il risultato del raffronto delle impronte. Solo in questo modo, infatti, tutte le famiglie potrebbero venire a conoscenza del risultato.
2) La comunicazione della lista dei nomi delle impronte di cui è stato fatto il raffronto. Le impronte, infatti, per le famiglie così come per noi, appartengono ad esseri umani, figli, giovani, con un nome, un cognome, un corpo, un’età, dei desideri, una propria storia e una propria concretezza. Esseri umani, per l’appunto, e non impronte. Alle famiglie, per ora, nessuno si è degnato di comunicare di quale di questi nomi, cognomi, esseri umani, figli, siano state inviate le impronte, di modo che ogni famiglia può pensare che il “risultato negativo” non riguardi il proprio figlio.
3) Un’indagine più approfondita sulle ultime telefonate arrivate alle famiglie dopo la partenza dei loro figli. Sappiamo che su questo un giudice in Tunisia sta indagando e che le telefonate sono arrivate da e a numeri di telefono della compagnia telefonica Tunisiana. Nel dossier che abbiamo costituito insieme alle famiglie ci sono alcuni numeri precisi, il giorno e pressappoco l’ora della telefonata. Chiediamo che la compagnia renda pubblici tutti gli elementi necessari per individuare la posizione da cui è partita la telefonata. E’ assurdo che a distanza di un anno tale ricerca non sia ancora stata realizzata. Così come è assurdo che nessun funzionario istituzionale sia a piena conoscenza di un dossier che insieme alle famiglie noi siamo riuscite a stabilire.
4) Un raffronto tecnico tra le immagini dei telegiornali italiani e francesi in cui le famiglie riconoscono i loro figli e le fotografie di quest’ultimi. Anche questo un raffronto che avrebbe potuto essere fatto sin dall’inizio nel caso in cui qualcuno avesse preso sul serio il dolore dei famigliari.
A più di un anno di distanza circa 300 madri e famiglie continuano a pretendere di sapere che fine abbiano fatto i loro figli. Scomparsi nel nulla e fatti diventare fantasmi dalle politiche migratorie. Quei “fantasmi”, però, erano giovani tunisini, alcuni giovanissimi, due o tre minori, tra loro una donna partita con il figlio sedicenne. A più di un anno di distanza nessun responsabile ha preso sul serio il dolore di quella scomparsa; sappiamo, invece, che l’Italia e la Tunisia stanno continuando i negoziati per un ulteriore accordo migratorio: qualche visto in più, quote più alte di viaggi “legali” e l’ennesima intesa sulla sorveglianza delle coste e sui rimpatri. L’Europa e l’Italia elogiano la nuova fase politica della Tunisia e moltiplicano i loro vertici in cui promettono finanziamenti per quella che chiamano “transizione democratica”. Continuano, però, inesorabilmente, a chiedere accordi migratori, perpetrando le loro politiche di scomparsa. E’ un nuovo esperimento: una democrazia senza libertà di movimento, una democrazia-prigione, identica in questo alla dittatura di Ben Ali. Con il loro linguaggio di foto, con l’ostinazione del loro sapere di vita – quei figli erano figli e non è possibile che siano scomparsi nel nulla – le madri e le famiglie tunisine ci stanno suggerendo qualcosa: la necessità di un “dégage” generalizzato di tutte le politiche di scomparsa affinché le vite, da una sponda all’altra, possano contare. Non pochi, vedendole apparire in gruppo davanti alle sedi di ministeri e segretari generali, alludono alla loro follia. “E’ un problema psicologico”, ci ha detto un funzionario istituzionale, “c’est du n’importe quoi”, commentava una segretaria vedendole arrivare. Ostinarsi a volere figli, vivi o morti, sapendoli concreti e reali e non fantasmi o impronte, è certo un’azione radicale, capace di smascherare sino in fondo l’assoluta illegittimità di tali politiche. Continueremo a essere con loro e a inseguire la loro ostinazione.
Le 2511
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