Chi siamo e cosa facciamo

Siamo un collettivo femminista composto da donne diverse per età e storia personale, unite dal desiderio di cercare un agire politico che parta da noi, dalle esperienze concrete delle donne, per superare gli stereotipi e trasformare non soltanto le nostre vite ma anche la città-mondo in cui ci troviamo ad abitare.

Ci siamo incontrate il 25 novembre 2009 a Milano – giornata mondiale contro la violenza sulle donne – al presidio di piazzale Cadorna indetto da antirazzisti e antirazziste per denunciare la violenza su Joy e sulle altre migranti nei CIE, e per chiedere la chiusura di questi centri. Presidio che fu violentemente represso dalla polizia.

Ci siamo chieste perché su alcune violenze si taccia, perché vengano considerate di serie B, perché le donne che subiscono violenza nei Cie siano inghiottite dal silenzio. Ci è sembrato giusto e necessario puntare una luce sull’oscurità da cui sono circondate queste donne che, oggi, insieme ai/alle trans, rappresentano il punto massimo dell’oppressione di genere: su di loro si condensano le violenze di razza, genere, classe e orientamento sessuale.

I CIE costituiscono un tipo di barriera preclusa alla persona italiana, che istituisce per legge l’alterità. Noi, per essere nate in Italia, siamo dalla parte della barriera che crea oppressione; ma non vogliamo legittimarla e cerchiamo pratiche quotidiane di relazioni che superino queste divisioni imposte.

Sentiamo l’esigenza di continuare a confrontarci per riflettere sul disagio di vivere in una città recintata, confinata e confinante dove si tenta continuamente di controllare i percorsi di vita, le libertà, le diversità. I confini  sono fatti  per  essere  superati,  le  porte  per  essere  aperte… Vogliamo pensare un’altra città, un altro modo di vivere, di abitare, di stare insieme senza confini e barriere. Questo richiede di agire nelle contraddizioni della realtà attuale per trasformarla e per sperimentare concrete esperienze alternative.

Abbiamo dato vita a un “Laboratorio permanente ed itinerante”, utilizzando a questo scopo diversi strumenti di intervento e modalità espressive che, a partire dalle esperienze individuali, permettano a ognuna di comunicare nel modo che più la rappresenta. L’idea è quella di proporci all’esterno attraverso questi materiali e questo modello di lavoro, allargandoci ad altre esperienze simili per interpretare il presente con uno sguardo di genere.